Fast & Furious 7 – La nostra recensione

Se in Boyhood di Richard Linklater il passaggio del tempo si manifestava sotto gli occhi dello spettatore con la crescita progressiva del suo attore protagonista, nella saga – tutta muscoli, motori e belle pupe – di Fast & Furious, iniziata nell’ormai lontano 2001 e giunta al settimo capitolo, lo scorrere degli anni è facilmente percepibile dall’ingrossamento esponenziale dei muscoli di Vin Diesel. In realtà, oltre all’aumento della massa corporea dell’attore, ripercorrendo la saga nella sua interezza ci si accorge che in un lasso relativamente breve di tempo il modo di concepire il blockbuster hollywoodiano è cambiato completamente.

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Riguardando oggi il primo capitolo si ha quasi la sensazione di essere di fronte ad un prodotto amatoriale, straconvinto di essere ultra-tamarro, ma che non riesce ad avvicinarsi nemmeno lontanamente ai livelli di un qualsiasi filmetto televisivo di oggi. Andando però a recuperare la recensione sul noto dizionario dei film Il Mereghetti si legge che “tra musica, rumore e montaggio a raffica, l’assalto ai sensi dello spettatore viene portato a un nuovo limite”, capendo quindi che “all’epoca” il film rappresentava il massimo in quanto adrenalina e steroidi. Certo è che provando a confrontare Fast & Furious 7 al prototipo del 2001 gli anni passati non sembrano solo 14, ma sembra passata un’era, perché il livello e il gusto della spettacolarità proposto dal film di James Wan nel 2001 non era probabilmente nemmeno ipotizzabile.

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Le ragioni di un cambiamento così radicale nell’industria dell’entertainment cinematografico, non circoscritto quindi solamente alla saga creata da Gary Scott Thompson, sono certamente molteplici, ma su tutte probabilmente troviamo il progresso fatto negli ultimi tempi nel campo della computer grafica, in cui è stato raggiunto un livello di perfezionamento tale da poter ricreare situazioni, ambientazioni e personaggi pressoché irrealizzabili fino a qualche anno fa; al fianco del progresso tecnologico figura sicuramente l’avanzamento inarrestabile dell’industria videoludica che con gli anni è riuscita ad alzare l’asticella della spettacolarizzazione visiva ad un livello a cui il cinema probabilmente farà molta fatica ad avvicinarsi.

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I videogiochi, gli effetti speciali e le pirotecniche sperimentazioni autoriali di film come Gravity e Birdman hanno quindi fatto sì che il livello medio di spettacolarità dei prodotti provenienti da Hollywood si sia alzato drasticamente nel giro di pochi anni e se un discorso analogo potrebbe essere intavolato partendo da una qualsiasi serie di film sui supereroi – l’universo Marvel e il ciclo degli Avengers su tutti – è interessante farlo prendendo a modello una saga che, rispetto a quello che sembra essere il trend del mercato cinematografico che incassa cifre a nove zeri, rappresenta un caso più unico che raro: la serie di Fast & Furious, a differenza di praticamente tutte le altre saghe di successo, stracolme di ambientazioni fantascientifiche e creature create a computer, pone al centro di tutto l’uomo, i muscoli e i motori, creando in questo modo un vertiginoso cortocircuito tra la spettacolarità computerizzata e ultracontemporanea e dei valori che celebrano l’uomo e la famiglia, che sembrano invece provenire direttamente dagli anni ’80.

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Quella che appare come una contraddizione, diventa in questo caso forse il maggiore dei punti di forza e trova nel settimo capitolo la sua incarnazione fisica nella figura di Paul Walker, morto prematuramente ad inizio riprese e resuscitato digitalmente dalla Weta di Peter Jackson. Mai come in questo caso la tecnologia è stata messa al servizio dell’esaltazione dell’uomo, della sua fisicità e della sua presenza al centro dello spettacolo; e se a questo aggiungiamo l’elogio funebre all’attore alla fine del film, le strepitose scene d’azione costruite per celebrare steroidi e motori rombanti e la musica truzza utilizzata per dare vita a videoclip tamarrissimi, ci rendiamo conto di quanto il film di James Wan non solo rappresenti un caso unico nella Hollywood contemporanea, ma costituisca un vero e proprio punto d’incontro tra due epoche cinematografiche diverse, diventando per entrambe un punto d’arrivo.

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