Venezia 72: anomalie sentimentali in stop motion

Alla notizia che la cervellotica e straripante mente di Charlie Kaufman – sceneggiatore di Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee ed Ethernal Sunshine of the Spotless Mind – avrebbe partorito un nuovo film da regista girato interamente in stop motion, quasi tutti si saranno figurati un’opera narrativamente strabordante, un’esperienza mistica e folle, una vera e propria materializzazione visiva delle ossessioni metalinguistiche dell’autore newyorkese. In realtà, come suggerisce in parte il titolo, Anomalisa è la concretizzazione di una serie di inaspettate “anomalie” narrative che fanno dell’opera seconda di Kaufman un film dall’andamento quasi classico, dalla messa in scena semplice e lineare, che sfruttando il meticoloso processo dell’animazione in stop-motion assume una dimensione magica che gli consente di esplorare gli aspetti minimi, intimi e insignificanti dell’esistenza umana con un’attenzione per il dettaglio che riempie il cuore di emozioni.

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La storia è quella di Michael Stone, un autore di libri di costumer service, che durante un viaggio d’affari incontra un’estranea che cambia completamente la sua visione della vita, caratterizzata fino a quel momento da una continua riflessione sulla solitudine e sull’incapacità dell’uomo ad avere rapporti con gli altri. In Anomalisa viene quindi inscenato l’incontro tra due persone normali, che pensano di avere trovato l’uno nell’altro l’anima gemella, di essersi imbattuti in quella voce e in quel volto che appaiono diversi – e per questo speciali – rispetto alla massa indistinta di persone che semplicemente fanno da comparse nelle loro vite. I momenti e i dettagli su cui viene costruito questo incontro spiazzano continuamente per efficacia e umanità ed è semplicemente esaltante trovarsi di fronte a dei pupazzi artigianali che si mostrano in tutta la loro fragilità – comprese le commoventi scene di nudo – ed il modo con cui Kaufman riesce a restituire la disperazione, la solitudine e i tenui e fragili rapporti.

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Con Anomalisa ci troviamo davanti all’ennesima riprova che, benché ogni tanto lo si dimentichi, l’animazione non è un genere cinematografico, ma semplicemente un mezzo in grado di adattarsi perfettamente a qualsiasi tipologia di racconto, di stile narrativo e, quando sfruttato a dovere, capace di regalare momenti di Cinema di rara bellezza. L’atmosfera ricreata dalle fantastiche location avvolge lo spettatore in uno strano contrasto emotivo che contrappone la linearità del racconto e la sincerità dei sentimenti alla costante sensazione di trovarsi all’interno di una dimensione onirica ed immaginifica che coincide con la mente del protagonista. In questo senso è emblematico il nome dell’hotel in cui si svolge gran parte della vicenda, che prende nome dalla sindrome di Fregoli, una rara malattia psichiatrica per cui il malato ritiene che le persone conosciute modifichino il proprio aspetto per non essere riconosciute: una condizione che affligge il protagonista di Anomalisa, ma che secondo Kaufman sembra affliggere l’intera società, incapace in questo momento storico di trovare serenità e piacere dai rapporti interpersonali. La sensazione che da un momento all’altro tutto questo straordinario ma fragilissimo mondo possa crollare sotto i nostri occhi persiste durante tutta la durata del film, ed è solo nelle meravigliose scene dell’innamoramento tra Michael e Lisa che ci si dimentica di tutti i problemi e ci si rende conto che l’unica cosa da fare è lasciarsi abbandonare alla bellezza di una canzone sentita già un milione di volte, ma che, in maniera anomala ed inspiegabile, ci travolge come fosse la prima volta.

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