Mad Max: Fury Road di George Miller – La nostra recensione

Ossessionato dal suo turbolento passato, Mad Max crede che il modo migliore per sopravvivere sia muoversi da solo, ma si ritrova coinvolto con un gruppo in fuga attraverso la Terra Desolata su un blindato da combattimento, guidato dall’imperatrice Furiosa. Il gruppo è sfuggito alla tirannide di Immortan Joe che, furibondo per il tesoro che gli è stato portato via, ha sguinzagliato tutti i suoi uomini sulle tracce dei ribelli. Ha così inizio la Guerra di Strada.

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Annunciato con uno dei trailer più esplosivi e spettacolari di sempre, l’attesissimo Mad Max: Fury Road si è finalmente mostrato in tutta la sua roboante maestosità e siamo sicuri che nessuno dei fan della vecchia trilogia con Mel Gibson ne resterà deluso. Perché nonostante siano passati trent’anni dal terzo capitolo, George Miller ha mantenuto intatto lo spirito anarchico che contraddistingueva i primi episodi, adattandosi alla perfezione a quelli che cono i canoni di spettacolarità che dettano legge nella Hollywood contemporanea. La struttura ereditata dai prototipi, dove la storia è quasi sempre solo un pretesto per scatenare le invenzioni visive più folli, è ciò che di più congeniale può esserci per un genere, come quello dei film d’azione, che sempre di più tende a fondersi con il videogioco. Certo è che un film come questo quarto capitolo firmato da Miller, che riesce a coinvolgere, emozionare e divertire in modo così convincente semplicemente con la forza delle immagini non è davvero una cosa che accade spesso, perché Mad Max: Fury Road è un’incredibile e pazza corsa verso l’infinito (e oltre) su cui lo spettatore viene catapultato dal primo minuto senza avere alcuna possibilità di scendere.

Il Max di questo reboot, interpretato da un potentissimo Tom Hardy, continua l’evoluzione che contraddistingueva il personaggio di Gibson in una costante e progressiva evoluzione da antieroe ad eroe “buono”. Miller però continua a non concedere troppo spazio al proprio protagonista, lasciandolo di nuovo nel sidecar del vero motore trainante della storia, questa volta incarnato da un gruppo di belle donzelle capitanate da Charlize “Furiosa” Theron che fuggono da una tirannia maschilista con il sogno di poter raggiungere una terra promessa in grado di offrirgli un destino più roseo. Per tutta la prima metà Max è imprigionato da una maschera che gli impedisce di parlare, quindi non può far altro che guardare e saltare sul primo veicolo in corsa portando con sé anche il pubblico.

Ad un certo punto però, l’adrenalinica fuga si deve bloccare, perché ogni tanto si arriva ad un punto in cui non ha più senso continuare a scappare verso l’ignoto, e l’unica cosa da fare è affrontare le proprie paure per sconfiggerle e riscrivere le regole per rifondare il proprio universo di appartenenza. In questo senso Mad Max: Fury Road rappresenta il capitolo più politico della saga, che individua in un gruppo di donne fuggiasche l’unica possibilità per cui la vita possa avere la meglio sulla morte. Ma il viaggio delle donne acquisisce in questo reboot anche un valore metacinematografico che ci permette di ragionare sulla trilogia originale e sul genere cinematografico d’appartenenza: con questo aggiornamento della propria creatura, Miller sembra voler sostenere che continuare a ricercare qualcosa di totalmente nuovo talvolta può essere controproducente e si rischia di girare a vuoto, soprattutto se dalla propria parte si possiedono gli strumenti e gli elementi per sistemare quanto basta un universo già preesistente che ha bisogno soltanto di una sistemata.

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